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Dati che sorprendono: le origini

Un racconto a puntate sul meraviglioso mondo dei dati. Questa storia verrà raccontata da chi i dati li “tocca con mano” ogni giorno e cerca con essi di raggiungere nuovi obiettivi sempre più ambiziosi.

LE ORIGINI

Perché parlare di dati?

La storia dimostra come ogni sistema socio-economico, indipendentemente dallo specifico modello adottato, sia guidato dalle ambizioni umane di crescita, equilibrio e distribuzione delle ricchezze.

Se per crescere è stato fondamentale disporre di risorse materiali, da quelle energetiche a quelle territoriali, oggi lo scenario si sta rapidamente trasformando, contemplando anche l’esistenza di altre tipologie di risorse. Un’entità “astratta”, con antiche e nobili origini, disponibile in quantità sempre più elevate, sta diventando sinonimo di potere; celebre la frase “Data is the new oil” attribuita alla matematica britannica Clive Humby, già nel lontano 2006.  

La nostra attenzione va quindi ai dati ed in particolare a quelli associati agli individui, ovvero i “dati personali“.

I dati esistono da sempre, ma prevalentemente per ragioni “tecniche” non hanno goduto di grande interesse. Trattare grandi quantità di informazioni riconducibili ad un individuo non era semplice, a partire dalla modalità di acquisizione e conservazione e fino alla sua analisi e interpretazione.

Spesso pensando a questi dati, immaginiamo elenchi interminabili di numeri o ancora più spesso grafici dai colori appariscenti.

A tal proposito, ricordo una citazione di un mio alquanto bizzarro professore di analisi matematica: “Attenti ai libri di analisi matematica che presentano troppe immagini…vi vogliono distrarre dalla verità!“. In effetti il libro di testo utilizzato per quel corso non presentava neppure un’immagine!

Come è possibile sfruttare al meglio il potenziale dei dati?

I dati oggi sono sicuramente la risorsa più preziosa della nostra economia, e questo lo dimostra l’elevato interesse che li pone al centro di discipline scientifiche (si pensi alla ricerca pandemica), all’innovazione (si pensi ai molteplici filoni dell’intelligenza artificiale), alle normative (si pensi al GDPR) e a tutti gli “strumenti” che consentono alle azienda di “fare business”, sia esso globale (Meta vi ricorda qualcosa?) che locale (esiste un’azienda oggi che non abbia una presenza digitale, anche se il suo business è completamente offline?).

Dobbiamo quindi capire come utilizzarli in modo efficace, innovativo ed allo stesso tempo etico.

Un tema che potrebbe sembrare banale, ma che non lo è affatto, è come utilizzare questi dati per raggiungere un obiettivo di business, comprendere un fenomeno, migliorare qualcosa della nostra realtà.

Il dato di per sé si presenta come qualcosa di semplice, dettato da qualche convenzione, spesso derivata dalla fisiologia umana.

Si pensi ai numerosi sistemi su base non decimale, come quello sessagesimale sumero, che faceva uso di pochi simboli (chiodi e punzoni), passando dalla numerazione romana, basata su un set di simboli un po’ più esteso (I, V, X, L, C, D, M), fino ad approdare a quello decimale posizionale, che tutti comunemente utilizziamo, senza dimenticare quello binario (0, 1), alla base di tutte le discipline informatiche.

Detto tra noi: ho qualche dubbio sulla numerazione francese, che pare avere origini vigesimali (utilizzo di mani e piedi per contare?), ma che neppure un mio caro collega madrelingua sa giustificare con fermezza.

Oggi trattare dati significa focalizzarsi sull’universo digitale, considerare le interazioni di qualcosa come 5.3 miliardi di utenti con una media 3.6 dispositivi a testa (previsioni 2023 di CISCO), alle quali vanno aggiunte le interazioni macchina-macchina, potenziate dalle nuove reti 5G… Stiamo parlando ovviamente dei celebri “big-data” di cui si è parlato ampiamente dopo l’avvento del web.

E’ impressionante constatare come dalla fine degli anni ’80 sino ad oggi, l’aumento dei dati sia stato esponenziale e che tale crescita non accenni a rallentare.

Da qualche anno paradossalmente, il problema non è più ottenere il dato, quanto selezionarlo, essere certi che sia corretto e aggiornato, oltre ad essere certi che possa essere utilizzato. In sostanza l’obiettivo è quello di concentrare la capacità computazionale per ottenere risultati rilevanti in tempi adeguati e utili, rispettando principi di trasparenza e di sostenibilità ambientale.

Qualche esempio

I produttori di servizi di recommendation, come quelli utilizzati praticamente su ogni ecommerce e talvolta anche su piattaforme di comunicazione multicanale, da anni interpellano la comunità scientifica e addirittura organizzano contest universitari per individuare gli algoritmi più efficienti, in grado di elaborare grandi moli di dati in tempi ridottissimi e producendo i risultati più pertinenti.

Le piattaforme di automation, grazie a logiche dettate dall’uomo o sempre più spesso dall’autoapprendimento delle macchine, sono in grado di ottimizzare l’attività sui dati, selezionando quelli più significativi e attuando azioni sempre più mirate e pertinenti.

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